La pedonalizzazione del secondo tratto del Corso e precisamente quello che va da Largo Goldoni alla Piazza del Popolo lo ha reso molto più facilmente percorribile e ne ha fatto una passeggiata sommamente interessante per il passante, romano o no, per quanto esso è ricco di memorie storiche e di capolavori architettonici, basta pensare alle chiese gemelle del Rainaldi, al palazzo Rondanini ecc.

Il secondo angolo della prima traversa di sinistra, la attuale via della Fontanella, in tempi remoti chiamata via Peregrina, appartiene ad un bel palazzetto dalla facciata sobria e proporzionata con un bel bugnato rettangolare che sale fino sopra le finestre del mezzanino, con il primo piano arricchito da tre semplici balconi dalla ringhiera sottile ed un artistico cornicione che conclude il tutto in altezza dopo il terzo piano.

Sulla sua facciata fa mostra di sé la targa marmorea che il Comune di Roma, su indicazione di Domenico Gnoli, fece apporre nel 1872 a ricordo dei memorabili soggiorni romani di Wolfgang Goethe.

Ma altri personaggi illustri ospitò il nostro palazzetto che, dal 1871 agli anni dell'ultimo dopoguerra, fu l'ultima dimora, in ordine di tempo, degli estremi discendenti di una illustre dinastia di artisti romani inspiegabilmente caduta nell'oblio e di cui il nostro casamentino porta ancora il nome: i Bracci.

Palazzo Bracci viene infatti chiamato il nostro stabile nell'interessante e prezioso libretto di Costanza Pesci Gradara, cui fà da prefazione una lettera di Corrado Ricci, e Palazzo Bracci viene ancora chiamato da Teresa D.D. Venuti nel suo "La casa di Goethe" edito nel 1908 e offerto come dono di nozze alla gentile signorina Maria Bracci nella quale, unitamente alla sorella Eugenia nubile, si estingueva per sempre quella famiglia di scultori e di architetti che tanto aveva abbellito Roma con le sue opere e che direttamente discendeva da quel Pietro Bracci scultore, che tutto il mondo ammira, senza magari conoscere il suo nome, quando si ferma a contemplare lo splendido gruppo marmoreo di Oceano con i suoi cavalli marini e con i suoi tritoni, nella celeberrima Fontana di Trevi. E non è solo quello il capolavoro di questo romano plasmatore di marmi, ché la statua di Clemente XII Corsini, attualmente nel cortile del Museo di Ravenna, è da taluni considerato la sua miglior produzione.

La sua arte giganteggiò per tutto il settecento, secolo quanto mai negletto nella valutazione critica dei posteri e che solo dagli inizi del novecento si è cominciato a rivalutare.

Egli era figlio d'arte in quanto anche il padre, Bartolomeo Cesare, era artista non mediocre nell'intaglio del legno. Pietro nacque il 16 giugno del 1700, prima di praticare la scultura studiò filosofia e lettere presso i gesuiti; egli era certamente il più colto fra gli scultori suoi contemporanei tanto che nel 1724 fu ammesso in Arcadia con il nome di Gilisio Niddano. Studiò disegno presso il Chiari per la durata di sei anni e contemporaneamente apprendeva la scultura dal celebre Camillo Rusconi.

Nel 1724 sposò Faustina Mancini povera ma bellissima ragazza e l'anno dopo aprì uno studio in piazza della Trinità dei Monti.

La sua prima opera indipendente sembra ritenersi il busto di Benedetto XIII collocato nel 1725 in S. Maria Maggiore e, quasi uno scherzo del destino, l'ultima fu il busto di Benedetto XIV per la basilica di S. Pietro.

La sua produzione fu veramente imponente, citiamo a caso: il busto di Papa Innocenzo XII, il busto del cardinale Paolucci ed il suo deposito nella chiesa di S. Marcello, il deposito del cardinale Imperiali a S. Agostino e quello del cardinale Calcagnini a S. Andrea delle Fratte, le tre colossali statue per la serie dei fondatori di ordini religiosi in S. Pietro: S. Girolamo Emiliani, S. Vincenzo de'Paoli e S. Norberto, numerose pale d'altare, putti, angeli e busti. Molte opere andarono anche all'estero, frutto di commissioni da colà pervenutegli, oltre agli innumerevoli incarichi di restauro di capolavori dell'antichità; basti citare per tutti l'arco di Costantino.

Si applicò anche alla architettura, sua grande e segreta passione, ma in questo campo l'unica attribuzione certa è la cosiddetta "Porta degli Orfanelli" a piazza delle Terme di Diocleziano.

Morì il 12 Febbraio 1773 nella sua casa in palazzo Lante in piazza S. Eustachio, più conosciuto come palazzo Cenci-Mancarani ed attualmente dependance del Senato della Repubblica. Le sue esequie furono effettuate nel Pantheon dove i figli gli fecero erigere un busto ed una lapide che furono poi trasferiti in Campidoglio, sembra alla Protomoteca.

Il Bracci aveva avuto numerosa prole ma gli sopravvissero soltanto cinque dei quattordici figli avuti da Faustina: due femmine e tre maschi. Alessandro, nato il 18.9.1730, anche lui scultore del quale però si conosce soltanto il busto di G.B. Morgagni nella biblioteca comunale di Forlì, morto nel 1794; Filippo, pittore, nato il 10.11.1741, che potrebbe essere l'autore de "La gloria di S. Francesco Saverio" e della "Partecipazione dell'Eterno Padre alla Passione" entrambe a S. Andrea al Quirinale, ma sopra tutti Virginio nato il 16 agosto 1737 principalmente architetto ma anche valido scultore; questa seconda attività la iniziò assistendo il padre nella esecuzione del deposito di Benedetto XIV in S. Pietro.

Fu allievo del Vanvitelli e del Murena, compì studi di lingua latina, retorica e filosofia, si applicò molto alle matematiche ed alle scienze idrauliche sotto il celebre professor P. Jaquer, studiò disegno di figura, ornato e architettura senza trascurare la scultura sia modellando creta che trattando il marmo.

Sono difatti completamente di sua mano i depositi del vescovo Gioeni (nella chiesa di S. Paolo alla Regola) e quello del cardinale Federico Marcello Lante (nella chiesa di S. Nicola di Tolentino) suo protettore, che estese maggiormente a lui la protezione che aveva elargito anche al padre.

Fu difatti, nell'ambito di Casa Lante che egli progettò e terminò la maggior parte delle sue opere: casamenti nei pressi di casa Farnese e all'arco dei Saponari; le parrocchiali di Salisano, Poggio S. Lorenzo Nuovo e Castelnuovo di Farfa, il campanile della parrocchiale di Poggio Mirteto - tutti territori dipendenti dall'Abbazia di Farfa della quale Federico Marcello era Cardinale Commendatario.

Non fu mai eseguito, però, il progetto al quale Virginio Bracci teneva moltissimo e che forse sarebbe stata l'opera che maggiormente lo avrebbe raccomandato ai posteri: il vasto ninfeo commessogli da quel porporato per rendere magnifica e deliziosa la villa che sul Gianicolo possedeva la sua Casata; i suoi disegni mostrano i tratti di un'opera bellissima, razionale e grandiosa la cui mancata attuazione, forse per la morte del suo committente, rimase sempre un cruccio nell'animo del Nostro.

Ritratto di Pietro Bracci (1700-1773)

Per il Capitolo di S. Pietro eseguì la costruzione di una chiesa ed altre fabbriche nella tenuta di Tragliata, un'altra in quella della Tragliatclla, un'ultima nella tenuta di Boccea.

Lavorò anche fuori della Capitale, nei territori pontifici: a Jesi, Frosinone e Terracina; su di un fiume di campagna fra Anagni e la Scurgola costruì un ponte di sei archi; a Genzano si occupò degli acquedotti; a Valenzano eseguì la Porta Nuova ed infine, nel Regno delle Due Sicilie, a Catania, costruì un conservatorio con annessa chiesa ed il palazzo Honorati.

Fu architetto delle Monache di S. Cecilia in Trastevere, è sua la mensa dell'altar maggiore della chiesa di S. Pantaleo, il restauro alla Parrocchiale di Fiano interessante il campanile e la sacrestia.

Pubblicò uno scritto sulle "Riflessioni idrostatiche sopra il ponte di Rieti" che scatenò la polemica risposta dello studioso cappuccino Padre Francesco Maria Gaudio da San Remo.

Fu membro dell'Accademia di San Luca dal 1784, nel 1796 era uno dei Censori e nel 1810, sotto il principato del Canova, fu nominato Professore d'Architettura.

Morì nella sua abitazione di Palazzo Circi, al n. 83 della scomparsa via della Pedacchia, il 12 settembre 1815 ed i suoi figli gli fecero erigere in S. Marco, sua parrocchia, una lapide ed un busto scolpiti dal Tuccimei.

Dalla moglie, Vincenza Massaruti, aveva avuto parecchi figli ma alla sua scomparsa vivevano solamente due femmine e tre maschi: Enrico, tenente del Genio, Paolo, computista camerale e Pietro, nato nel 1780, anche lui architetto.

Già nominato coadiutore da Pio VI Braschi, alla scomparsa del padre lo sostituì nella carica di Architetto della Congregazione del Buon Governo. Nel 1818 era ingegnere sottoispettore nell'Amministrazione delle Strade con G.Camporesi. Subentrò al genitore anche come Architetto del Convento di S. Cecilia e lavorò, tra l'altro, alla Parrocchiale di Rocca di Papa.

Eletto anche lui accademico di merito all'Accademia di San Luca il 15 novembre 1820, fu nominato consigliere per la classe di architettura il 12 novembre del 1830, e fino al 1836 lo troviamo presente alle riunioni.

Morì il 18 aprile del 1839 nella sua casa di Via S. Venanzio n. 1.

Di tutti i figli avuti dalla moglie Maria Giorgi, gli erano rimasti soltanto Virginio, nato nel 1825, e Andrea nato nel 1826.

Furono essi che, nel 1870, si trasferirono nel palazzetto da loro acquistato in via del Corso n. 18 e di cui appunto si sta parlando.

Virginio vi morì, celibe, nel 1894 mentre Andrea lo precedette di nove anni: risulta infatti deceduto il 19 febbraio 1885.

Gli sopravvisse la moglie, Faustina Righetti, dalla quale aveva avuto quattro figli: tre femmine e un maschio, Pietro, chiamato familiarmente Pierino, che avrebbe brillantemente continuato - seppure in altro campo - le attività artistiche così vive del suo casato.

Questi era nato il 29 maggio del 1864 nella casa di via S. Venanzio, aveva, quindi, poco più di sei anni quando la famiglia si trasferì in via del Corso. Si laureò in giurisprudenza e, benché nella pratica della vita esercitasse l'ufficio di segretario del Consorzio Pontino, si dedicò tuttavia alle lettere ed alla politica.

Si era formato nell'atmosfera della Cronaca Bizantina e dell'editoria sommarughiana. Fu amico del Panzacchi, del Salvatori, del Fogazzaro, di D'Annunzio e di Del Lungo.

Famosa, ai suoi tempi, la polemica letteraria con il Carducci che lo disdegnava alquanto, ma che trasse molto vantaggio per la conoscenza delle sue "Odi ", dal clamore che ne derivò.

Pur non tacendo la sua avversione per la sinistra e senza avversare le ideologie nazionalistiche ed autoritarie propugnate dal "Grande Vate", egli perseguì una sorta di liberalismo conservatore all'inglese che l'avvicinò, anche mediante un'attiva collaborazione giornalistica, alla milanese "Idea Liberale" del Conte A. Sormani, non senza un aperto e critico interesse per la pubblicistica di Guglielmo Ferrero.

Accettò sempre decisamente la realtà del nuovo stato italiano ed il regime di separazione fra Chiesa e Stato sancito dalla Legge delle Guarentigie.

Fu anche collaboratore della fiorentina "Rassegna Nazionale" sotto lo pseudonimo di Guido Fortebracci.

Pubblicò nel 1885 il libro "Ante lucem" e il volume degli "Scritti vari" che però uscì postumo nel 1904.

Morì prematuramente a soli 38 anni il 16 novembre 1902, ancora celibe, estinguendo con lui quella dinastia di ingegni che così brillantemente aveva onorato la nostra città.

Delle due sorelle sopravissutegli, la minore, Maria, andò sposa nel 1908 ad un giovane gentiluomo il Barone Alberto Trocchi Alessandri e fu in occasione appunto di queste nozze che Teresa Venuti fece omaggio alla sposa della piccola pubblicazione dianzi citata nella quale si fa cenno ad un cospicuo ed interessante archivio di famiglia che, anche la Costanza Gradara asserisce essere ancora presente in casa nel 1920 epoca della pubblicazione del suo studio sul primo Pietro Bracci.

Dai registri delle anime della parrocchia di S. Giacomo in Augusta risulta che la famiglia Bracci sin dall'inizio della sua permanenza in via del Corso n. 18 abitava al "secondo piano alla porta sinistra" quindi proprio nelle stanze ove attualmente è collocato il piccolo museo Goethiano.

Anche la giovane coppia vi mantenne la propria residenza pur se preferiva trascorrere la maggior parte dell'anno nella splendida villa di Pian Paradisi vicino a Civitacastellana, di proprietà dello sposo.

Purtroppo, durante l'ultimo conflitto quella casa fu occupata prima dalle truppe tedesche e poi... liberata dalle truppe alleate con le conseguenze facilmente immaginabili. L'occupazione degli sfollati, poi, completò l'opera.

L'ultimo a lasciare questa terra fu il barone Trocchi Alessandri e, precisamente, il 5 ottobre 1948. Egli non aveva avuto figli; i suoi tre nipoti, figli del fratello, avevano scelto la vita religiosa. Libero della sua volontà designò sua erede la Mensa Vescovile di Civitacastellana che divenne così proprietaria di Palazzo Bracci.

E l'archivio?

Per quante ricerche siano state fatte, fino ad oggi non è stato possibile conoscere la sua sorte. Molti studiosi se ne sono occupati ma nessuno è pervenuto a risultati concreti. C"è solo da augurarsi che non sia stato trasferito per... motivi precauzionali a Pian Paradisi!!!

Nel bollettino di Arte Antica e Moderna Vol. VII anno 1964 pag. 217, nelle note dell'articolo di Silla Zamboni dal titolo: "Pietro Bracci il modello per il monumento di Benedetto XIV ", è scritto testualmente: "l'archivio Bracci, già nel1'antico palazzo di via del Corso, sembra sia emigrato da Roma per ragioni di eredità ".

Che la Fortuna si tolga la benda e ci dia una mano! !

VITTORINA NOVARA

Bibliografia Costanza Pesci Gradara: Pietro Bracci, Al?eri e Lacroise, Milano 1920.
Teresa D.D. Venuti: La casa di Goethe, Poliglotta, Roma 1908.